Buona sera a tutti!
Mi chiamo Gianni Maria Ruga e con mia moglie Nives, siamo stati invitati in questa bellissima città per portare la nostra testimonianza relativa ad un giovane che nel lontano 1943 iniziava la sua faticosa e tormentata esperienza di Internato Militare Italiano presso la Wasserwerke di Amburgo. Quel giovane era mio padre, Marino Ruga classe 1920.
Prima di iniziare permettetemi di ringraziare di cuore la “Projektgruppe IMI Hamburg” e tutti coloro che operano all’interno di questo gruppo con grande professionalità, disponibilità e coesione di intenti: Holger Artus, Lisa Hellriegel, Jonas Jakubowski, Stephan Kaiser, Jan Kruger, Susanne Wald e Barbara Ferloni.
Non è mia intenzione tenere una lezione di Storia sulla seconda guerra mondiale, per questo ci sono persone molto più qualificate e preparate di me, quello che vorrei, è far conoscere brevemente le vicende vissute da mio papà durante gli anni della sua prigionia.
Come accennato precedentemente, mio papà nasce il 22 febbraio del 1920 in una cittadina del Piemonte posta ai piedi del Monte Rosa, Varallo Sesia per poi trasferirsi nel 1938 con tutta la famiglia in un paese che si trova più a valle e lì è vissuto fino al 2013, anno della sua morte. Alcuni mesi più tardi, curiosando tra i suoi ricordi più cari, gelosamente nascosti per evitare sguardi indiscreti ho rinvenuto alcuni quaderni, fotografie e documenti che risultarono essere il suo diario militare che inizia con la chiamata alle armi il 17 marzo 1940 e termina l’8 agosto 1945. Il papà ha sempre tenuto un atteggiamento riservato, quasi pudico riguardo a quel periodo, infatti noi figli sapevamo solo che era stato inviato in Albania e da lì, essendo stato fatto prigioniero, tradotto in Germania.
Mi hanno talmente incuriosito quegli appunti che decisi di trascriverli approfittando anche del lungo lockdown causato dal covid nel 2020.
Più il lavoro di trascrizione andava avanti più mi si apriva un mondo che mio papà non aveva mai raccontato, era la scoperta diun periodo storico vissuto e descritto da un protagonista di vent’anni che dopo il corso di specializzazione nel Genio Trasmissioni, viene mandato prima sul fronte francese ed in seguito, imbarcato a Bari per essere trasferito a Elbasan in Albania, in qualità di militare addetto alle trasmissioni, è il 9 dicembre del 1940.
In quella località dell’Albania il papà trascorrerà buona parte del periodo bellico, a parte una breve licenza dovuta ad un ricovero ospedaliero a Bari, e al suo ritorno in Albania il 10 settembre 1943a causa dell’Armistizio firmato con gli alleati, fu fatto prigioniero ed inviato in Germania come Internato Militare Italiano.
Questa è la parte del diario che ci interessa più da vicino perché riguarda il motivo della mia presenza, ovvero portare la testimonianza diretta di uno dei tanti giovani di allora che possono affermare: IO C’ERO.
Rispetto alle pagine scritte a Elbasan, il periodo passato in Germania risulta più descrittivo e dettagliato. Infatti su questi fogli, ritorna quasi quotidianamente, la nostalgia degli affetti lontani causata dalla mancanza di notizie della famiglia, del fratello Primo prigioniero in Africa e della fidanzata Primina che sposerà una volta rientrato in Patria. Un altro tema ricorrente è il lavoro che deve svolgere e di conseguenza i rapporti con gli altri internati e con il suo caporeparto, il sig. Alfred August; significativa è la pagina dedicata ai bombardamenti su Amburgo e ancora il freddo intenso patito durante il periodo invernale sul posto di lavoro e nel campo; un altro argomento trattato di frequente è il proliferare del mercato nero. Tutte queste occupazioni, unite ad altre incombenze, riempiono la fatica e la sofferenza del passare del tempo. E’ quindi una descrizione giornaliera dei sentimenti e degli avvenimenti più importanti, quelli che hanno catturato la sua attenzione e che vengono riportati in modo puntuale, schematico e sintetico, una rievocazione vivace e avvincente ma soprattutto autentica della sua personale esperienza vissuta all’interno di un dramma collettivo. Ma quello che non manca mai nella sua narrazione è la ricerca assillante, febbrile, ossessiva, angosciante di un pezzo di pane per calmare la fame insaziabile di un ventenne.
A conferma di quanto detto fino ad ora vi voglio leggere alcuni passi presi dal diario di mio papà:
“S. 13 novembre 1943
Lavorato mezza giornata sotto un tempo peggiore di ieri. Questa mattina si iniziò nuovamente ad andare (come usiamo noi chiamarlo) alla sabbia cioè sterilizzazione acqua per città. Malgrado il vento gelido, la pioggia, la neve e le nuvole ci confermano lo spostamento. Gli angloamericani non hanno esitato a fare una visita nel territorio tedesco. L’allarme ad Amburgo è durato 1 ora e mezza, rumori di aerei ed esplosioni si sono sentite in lontananza. Oggi a mezzogiorno non ci dettero la minestra e sarà per tutti i sabati successivi. Alle ore 20 entrò in azione una parte della contraerea della città per circa tre quarti d’ora. Però nessun bombardamento.
L. 22 novembre 1943
Ho deciso di vendere qualche capo di biancheria per del pane. Dopo la penna e l’anello d’argento seguiranno per ordine: una camicia che contratterò domani e l’unico paio di mutande di lana prossimamente del quale mi è stato già offerto da civili tre filoni di pane. Tutto questo mercato nero è per la troppa fame, dovrei guardarmi pure dal freddo prima di prendere certe decisioni, ma tendo di resistere a quest’ultimo se il fisico lo mantengo in forma. Parlando di freddo, questo scende ormai sotto zero, questa mattina per la prima volta è ghiacciato e la nebbia gela sugli alberi. Parlando ancora di vitto, la razione del pane è scesa nuovamente: due giorni in 6 e due giorni in 5 fino alla stabilizzazione delle razioni vecchie. Oggi ho mangiato poco ma in compenso fatto qualche passo, solo così posso nel mio piccolo decidere che questa maledetta guerra finisca.
Ma. 23 novembre 1943
La camicia è stata oggi barattata con un francese sul lavoro in fabbrica. Il guadagno è stato di 3 pani e mezzo uno dei quali ho già divorato (specifico kg. 1,500 ognuno). Rimango quindi solo con una camicia. Tempo al mattino, pioggia e niente freddo. Pomeriggio sprazzi di sole dopo giorni e giorni e poi freddo e nuvole. Morale, quando si mangia, alto. Molti pensieri però per i cari, lontano dai quali si sentono voci cattive che guai se fossero vere. Almeno potessimo essere in relazione ma chissà quando l’autorizzazione di scrivere a casa. Possa Iddio volgere il sua sguardo su di essi, sulla mia mamma, su tutto il mondo affinchèpossa convincere i capi responsabili di questa tremenda guerra a venire ad una conclusione onesta e duratura.”
Il lavoro che ho fatto, non solo mi ha appassionato e gratificato, ma mi ha permesso di conoscere più intimamente mio papà con le sue paure, la sua determinazione, la sua umanità, le sue ansie ma anche le sue certezze e i suoi valori ma soprattutto ho conosciuto attraverso i suoi scritti la sua Fede incrollabile e la sua certezza nell’aiuto quotidiano del Signore.
Vorrei concludere questo mio intervento con un’esortazione, in modo particolare mi rivolgo ai giovani perché loro sono il nostro futuro:
I nostri nonni e i nostri padri, con i loro sacrifici e le loro sofferenze, ci hanno lasciato in eredità un bene prezioso eirrinunciabile: la Pace che ora è messa seriamente in discussione dagli avvenimenti che da mesi sconvolgono in modo particolarel’Ucraina.
Ora! tra coloro che hanno vissuto quella guerra, pochissimi sono ancora tra noi e mi viene spontanea una domanda: ”chi racconterà la Storia quando non ci saranno più testimoni?”
Allora penso e mi convinco che anche queste semplici memorie, che per me hanno un grande valore affettivo oltre che educativo, devono trovare spazio nel nostro cuore di figli e figlie di IMI ma soprattutto devono trovare terreno fertile nelle menti e nelle opere di coloro che saranno dopo di noi.
E’ quindi nostro dovere tramandare alle nuove generazioni questi valori affinchè attraverso la conoscenza del passato si possa costruire un futuro sereno e a misura d’uomo.
Grazie di cuore per l’ospitalità e a tutti voi, grazie per avermi permesso di raccontare la storia di un soldato come tanti, senza mai dimenticare che questi “tanti”… hanno fatto la Storia.